La giornata del 15 ottobre ha visto scendere in piazza milioni di persone in tutto il mondo, unite da una volontà comune: dire un forte no all’attuale gestione politica ed economica della crisi globale,
ribadire che non c’è più disponibilità a pagarne il prezzo in silenzio o ad accettare il sacrificio dei beni comuni sull’altare delle banche e l’imposizione dell’Austerità (che tanto piace invece ai politicanti d’Europa ostaggi della Bce.)
A Roma, in particolare, abbiamo partecipato a una manifestazione che conteneva non una sparuta pattuglia di militanti anticapitalisti ma un’espressione di ampi strati della società messa alle corde dalla drammatica situazione socio-economica del nostro Paese. Un corteo quindi dove l’elemento centrale e di ricchezza è stato l’eterogeneità; una manifestazione così grande da contenere al suo interno svariate età e storie politiche, anche molto differenti fra loro (poco coincidente quindi con le rappresentazioni semplicistiche e riduttive del giorno dopo); dove si percepiva un diffuso e palpabile sentimento di rabbia e di rivincita soprattutto da parte di quel 99% abbandonato e spinto sull’orlo dell’esclusione sociale: operai, ricercatori, insegnanti precari, cassaintegrati, ma soprattutto tanti studenti e tanti giovani.

La rabbia certo può avere diverse modalità espressive, ma deve essere elemento qualificante dei movimenti la capacità di offrire un possibile orizzonte in cui essa diventi progetto.

Questa capacità di dare un orizzonte di senso in cui esprimere e incanalare la rabbia degna di chi si sente privato del proprio futuro è stata la più grande mancanza collettiva (e non ci sottraiamo a questa colpa) dei movimenti sabato scorso: infatti questo vuoto è stato riempito con tutto e il contrario di tutto, ed è in questo spazio che si è posizionato il nichilismo distruttivo che ha percorso la prima parte del corteo, e che ha contribuito a impedire un più condivisibile momento conflittuale di massa.Da queste modalità di sovradeterminazione degli spazi comuni di movimento ci sentiamo distanti anni luce e non siamo in alcun modo interessati ad averci nulla a che fare.È necessario che si faccia chiarezza, per quanto ci compete, su cosa intendiamo per scontro, conflitto e radicalità, che non sono sinonimi intercambiabili: quello che c’è stato fino all’intervento della polizia su via Labicana è stato sicuramente ricerca dello scontro, ma non crediamo che automaticamente sia stato espressione di conflitto e radicalità.
La radicalità per noi resta la capacità di esprimere il punto più avanzato del rapporto fra conflitto e consenso. Conflitto e conflittualità per noi sono la capacità di non essere irrilevanti, di creare scompiglio nel “campo nemico” e incidere in tanti e tante sull’esistente. A Roma, poi, c’è stato anche altro: un momento necessario di resistenza collettiva in piazza di San Giovanni, una degna resistenza alle cariche delle forze dell’ordine che attaccavano il corteo, anche nella sua piazza finale, con pericolosissimi caroselli di cossighiana memoria, dimostrando dal nostro punto di vista come sia possibile immaginare e praticare un uso della forza consapevole, utile, sensato, necessario.

In questo senso se vi può essere un paragone con Piazza del Popolo il 14 dicembre dell’anno scorso, a nostro avviso è riscontrabile solo nella vastità della partecipazione e nell’ampiezza del consenso diffuso anche tra i “non attivi” ma non certo dal punto di vista politico e di senso: in quell’occasione tutta la piazza applaudiva e sosteneva chi cercava di perseguire l’obiettivo di raggiungere i palazzi del potere e per questo motivo “attaccava”, questa volta semplicemente solidarizzava con chi difendeva se stesso e tutti. Non è cosa da poco, ma non è la stessa cosa.
Il giorno dopo il corteo abbiamo letto nei social network di inviti alla delazione e, in maniera bipartisan, della necessità di ripristinare e aggiornare la legislazione emergenziale degli anni ’70; sarebbe uno scenario decisamente fosco per la già deteriorata vita democratica italiana il ritorno di leggi che delimitano la libertà nel manifestare il dissenso.
Non ci dilunghiamo nello spiegare l’infamità di “informatiche” pratiche delatorie e di chi vorrà prendervi parte.
Per noi la posta in gioco è alta: sono gli spazi di agibilità e di espressione del conflitto, e sarà nostra cura presidiarli da qualsiasi tipo di attacco e ampliarli con intelligenza e inclusività, all’interno delle dinamiche sociali in cui ogni giorno lottiamo; sempre più convinti che conflitto e consenso debbano andare di pari passo. Questo abbiamo imparato nella nostra breve vita militante: dalla Innse alla Val Susa al comitato antifascista di quartiere.
L’Austerità non finirà presto, e sappiamo che sono molti quelli che non vorranno abbassare la testa; la sfida è ora anche nostra perché non si sciolga tutto nella fiammata di un attimo, sotto i colpi sterili dei media che ancora una volta nascondono il vero nemico: chi la crisi vuole farla pagare a noi.

Z.A.M.

Lab Out Milano

Rete Studenti Milano

Milano In Movimento